Nel periodo che va da luglio a settembre, ormai dagli anni 70 del secolo scorso, una grande ma pacifica invasione di rabbini, provenienti da ogni parte d’ Italia e dall’estero, occupa la zona collinare dell’alto Tirreno cosentino, prendendo di mira gli agrumeti di Diamante, Buonvicino e Santa Maria del Cedro. L’interesse dei miti invasori è rivolto alla raccolta del cedro calabrese, che per le sue caratteristiche di eccellenza, a cui contribuisce in modo determinante il microclima della fortunata zona, che conduce alla maturazione un frutto che, in quell’area, ha tutte le caratteristiche di forma ed organolettiche dell’ “Etrog” . Il frutto di bell’aspetto di cui si parla nella Torah( Levitico , XXIII;40); allorchè l’Eterno impartisce a Mosè il precetto della Festa di Sukkot, pure nota come Festa dei Tabernacoli, o Festa delle Capanne o ancora intesa come Festa del raccolto e della gioia. Festa che cade sempre in autunno e la cui celebrazione quest’anno andrà dal 16 al 23 ottobre. La prescrizione biblica, per gli ebrei, è di costruire, in questa occasione, una capanna, utilizzando del legno, senza però dotarla di fondamenta. Per ricordare la precarietà della condizione umana su questa terra, in cui l’uomo resta, suo malgrado, per tutta la vita, un pellegrino. Il tetto della capanna deve essere realizzato da rami e fronde, e deve consentire che, alzando gli occhi, si possa vedere il Cielo. Caratteristica principale della copertura è che non interrompa il contatto, che deve sempre essere mantenuto, con la Trascendenza. Nei giorni di festività è fatto obbligo di soggiornare nella capanna e consumare all’interno della stessa dei pasti. La permanenza sotto il tetto fatto di rami e foglie esorta gli ebrei a ricordare che i loro avi, per quaranta lunghi anni, hanno vissuto nelle capanne, quando, sfuggendo dalla schiavitù del faraone, hanno attraversato il deserto per giungere alla Terra promessa. La ricerca dei migliori cedri, privi di imperfezioni, maturi, lisci e lucidi, è resa necessaria dalle specifiche disposizioni che regolano, peraltro, anche la loro conservazione sino alla celebrazione di questa festa, nel corso della quale ogni ebreo, al momento del ringraziamento, deve tenere nella mano destra il “Lulav” un mazzetto composto da un ramoscello di mirto, da uno di salice e da uno di palma; mentre nella mano sinistra stringerà un cedro, che, con le sue caratteristiche di perfezione, ricorda all’uomo che deve migliorarsi, anelando ad un ideale di eccellenza. Non può sottacersi che i cedri di quest’area della Calabria, da sempre, non hanno rivali negli agrumi coltivati in qualsiasi altra parte del mondo, compreso Israele. Si narra che il nome del paese calabro di Cetraro avrebbe origini ebraiche, in quanto, nell'antichità, gli ebrei che giungevano dal mare, per rifornirsi di cedri, doppiando il promontorio cetrarese, superato il quale approdavano, abbiano dato alla zona l'attuale nome. Questa regione, estrema area della penisola italiana, con l’ebraismo ha stretti vincoli, per essere stata, da sempre, terra in cui abbondava la presenza di comunità ebraiche fiorenti e numerose, sino alla cacciata, effettuata dai monarchi cattolici spagnoli. Oggi in Calabria si assiste ad un rifiorire dell’ebraismo che vede tante persone che vanno alla riscoperta delle radici ebraiche della propria famiglia e di altre che, avvicinandosi all’ebraismo per conoscerlo, trovano motivo di appagamento delle loro esigenze spirituali.
Giuseppe Sciacca