E se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio.”
Etty Hillesum, una giovane donna ebrea di nazionalità olandese, che a soli 29 anni perse la vita nel campo di sterminio di Auschwitz, annotò questa frase sul suo diario, scritto tra il 1941 e il 1943.
Una frase in cui è racchiusa l’immensità del pensiero di una grande donna e scrittrice, impegnata, caotica, estroversa, dal carattere volitivo e dominante.
La famiglia di origine viveva ad Amsterdam. Entrambi i genitori erano insegnanti, appartenenti alla borghesia intellettuale ebraica.
Di Esther, questo il suo vero nome, mi ha incuriosito la scrittura, densa, ispirata, meditata.
Il linguaggio schietto di chi vuole testimoniare l’orrore, l’indicibile, l’inenarrabile. Una parola leggera ed elegante, che ispira un anelito di purificazione e di pulizia interiore.
Desidero ricordarla citando alcuni dei grani di saggezza che ella ci ha lasciato.
Il patrimonio letterario che Etty Hillesum ci ha tramandato, costituito dalle numerose lettere scritte alle persone care e soprattutto dal suo diario, alimenta il convincimento che il profondo significato della parola non deve restare fluttuante nell’aria sino a quando, inghiottita nell’oblio dell’unicità del dialogo, essa scompare.
La parola scritta, alimentata da un originale percorso introspettivo, di riflessione e ricerca del sé e del senso della vita, ha significato di testimonianza, come nel caso di Etty Hillesum, che ha fermato il tempo della persecuzione ebraica, della guerra, segnando un percorso a cui intere generazioni in molte parti del mondo si ispireranno, traendo fonte di ispirazione, di conforto e nuove risorse a cui attingere per resistere ai momenti dolorosi e di solitudine e alimentare una speranza e un ottimismo coinvolgenti.
“Fiorire e dar frutti in qualunque terreno si sia piantati – non potrebbe essere questa l’idea?”
Il 30 novembre 1943 la barbarie nazista interruppe prematuramente la sua vita, ma non i suoi pensieri, la personale visione del mondo di una giovane donna, fragile e forte al contempo, spirituale e fortemente attaccata alla terra, amante della vita, anticipatrice di modi di essere e stili di vita che ancora oggi ci stupiscono.
“È un periodo troppo duro per persone fragili come me. So che seguirà un periodo di umanesimo. Vorrei tanto poter trasmettere ai tempi futuri tutta l’umanità che conservo in me stessa, malgrado le mie esperienze quotidiane. L’unico modo che abbiamo di preparare questi tempi nuovi è di prepararli fin d’ora in noi stessi. In qualche modo mi sento leggera, senza alcuna amarezza e con tanta forza e amore. Vorrei tanto vivere per aiutare a preparare questi tempi nuovi: verranno di certo, non sento forse che stanno crescendo in me, ogni giorno?”
Furono le letture e soprattutto gli insegnamenti del suo mentore, Julius Spier, allievo di Jung e fondatore della psicochirologia, a determinare in lei un profondo cambiamento.
Si avvicina così a Dio, ospitandolo con tenerezza materna nel suo cuore fino agli ultimi istanti della sua vita.
“Se tu affermi di credere in Dio devi anche essere coerente, devi abbandonarti completamente e devi avere fiducia. E non devi neppure preoccuparti per l’indomani.”
La sua scrittura assume una dimensione spirituale sempre più elevata e complessa, che la conduce ad esprimere una visione universale intesa ad unire, anziché dividere, gli esseri umani, prescindendo da qualsiasi effimero elemento di apparente diversità.
Etty Hillesum rifiuta l’odio, malattia divoratrice dell’anima, anche nei confronti del cosiddetto nemico. Inizia a confortare con la sua presenza delicata ed empatica gli uomini e le donne che incontra sul suo cammino, anche solo per un attimo, nel campo di transito di Westerbork, destinazione che volontariamente scelse per condividere fino in fondo la sorte del popolo ebraico al quale riconobbe di appartenere.
“Quando abbiamo dell’avversione per gli altri le ragioni dobbiamo cercarle nel disgusto che sentiamo per noi stessi: ama il prossimo tuo come te stesso.”
Attraverso i suoi scritti, la testimonianza e il pensiero di Etty Hillesum rivivono.
Lasciarsi attraversare dalle intemperie più o meno violente che caratterizzano la vita degli esseri umani e riconoscere, qualunque essa sia, quella che a ciascuno di noi è data da vivere, tutto ciò che essa è capace di offrire: il buono e il cattivo, le luci e le ombre.
“Non devo volere le cose, devo lasciare che le cose si compiano in me.”
Sentimenti che hanno un comune denominatore, il presente e il passato uniti dal tempo.
Così, i ricordi, le riflessioni, i pensieri che nel frattempo si sono succeduti, assumono – postume – carattere di universalità senza tempo.
E tutto ciò che la scrittura deve rappresentare. Storia vissuta, trasferita nei rivoli della memoria per diventare coscienza e insegnamento, nella ciclica rotazione che caratterizza l'umanità, attraverso la consapevolezza che “Dio non è responsabile verso di noi, ma siamo noi a esserlo verso di lui”.