Sin da bambini ci è stata raccontata la storia di Noè, l’uomo che salvò se stesso, la sua famiglia e gli animali dal diluvio universale, costruendo un arca di legno nella quale li alloggiò, mentre dal cielo denso di nuvoloni scuri, per giorni e giorni, cadeva una pioggia fitta ed intensa, che allagò il mondo e sommerse tutti i suoi abitanti. Il racconto semplice come una fiaba, che abbiamo appreso nei primi anni della nostra vita, con i suoi dettagli accurati e accattivanti: la colombina che fa ritorno all’arca, da dove era stata spinta in volo per andare in esplorazione, con il ramoscello d’ulivo nel becco a riprova che la natura si stava rigenerando, e ancora l’apparire dell’arcobaleno, con i suoi colori, simbolo della quiete ritornata, che dal cielo ormai terso annunciava che le forze ostili della natura si erano placate. Sono tutti quadretti che hanno catturato la nostra attenzione, polarizzando il nostro interesse sul racconto, con la conseguenza di porre in ombra la figura del suo protagonista principale.
Ora da adulti è giunto il momento di considerare come merita, la figura di Noè e soprattutto la sua personalità. Le Scritture lo indicano come “uomo giusto ed integro, tra i suoi contemporanei: Noè camminava con Dio” (Gen. 6:9). Questi apprezzamenti sono riservati a lui solo tra i profeti, neanche Mosè o Abramo hanno avuto simili apprezzamenti. Ma proseguendo nel racconto biblico rileviamo che il Noè che abbiamo conosciuto prima del diluvio è completamente diverso da quello che è uscito dall’arca e si dedica a lavorare la terrà, non è più la stessa persona. “Noè, agricoltore, fu il primo a piantare la vigna” (Gen. 9:20), coltiva le viti e si abbandona al piacere del vino. L’uomo di Dio e della virtù si è trasformato nell’uomo della terra e del vino, diventando un bevitore smodato. Poi cade in preda all’ebbrezza del vino e giace indecorosamente scoperto dentro la sua tenda ed i suoi figli Scem e Jèfet sono costretti a coprirne le nudità. Da uomo rivestito della grazia del Signore è passato ad essere ebro e nudo.
A questo punto è naturale chiedersi cosa ha determinato questo radicale cambiamento? Perché queste due vite? La risposta non è scritta da nessuna parte, ma tante ipotesi sono state fatte. È facile pensare che Noè venne colto da un grave senso di colpa, per non aver tentato di interferire sulla vita degli altri uomini e di convincerli ad abbandonare la corruzione, la violenza e l’ingiustizia. Nessuno lo avrebbe ascoltato, ma ora, col senno del poi non è certo di ciò, forse avrebbe salvato delle vite se fosse insorto, con le sue parole, contro il malcostume. Tutto questo lo deprime perché gli dà il senso del suo fallimento nel rapporto con gli altri. Dopo il diluvio, probabilmente, fu tormentato dal senso di colpa? Se questa ipotesi fosse vera, sarebbe agevole condividere le conclusioni forti di chi si è già soffermato a considerare il cambiamento di Noè. Il semplice fatto di essere esseri umani comporta, di per sé, un senso di responsabilità degli uni nei confronti degli altri.
L’ebraismo prevede specificamente una responsabilità collettiva, che costituisce uno dei punti fermi di quel pensiero e che ci impone di protestare quando ci troviamo di fronte all’ingiustizia, anche se nessuno sarà disposto ad ascoltarci, anche se la nostra voce si leverà da sola. Non basta essere giusti nella nostra vita se poi voltiamo le spalle di fronte ad una società deragliante e ne accettiamo passivamente i misfatti e le colpe. Dobbiamo prender posizione e far valere il nostro dissenso, anche se logica ed esperienza ci dicono che nulla cambierà. Noi, volenti o nolenti, condividiamo la nostra vita con gli altri, e per questo siamo responsabili delle società di cui facciamo parte. Non basta condurre una vita privata moralmente linda e specchiata, abbiamo il dovere di preoccuparci di chi ci sta accanto, di scuoterlo dal suo torpore, abbiamo un dovere di perseguire il bene, non solo per noi stessi, ma anche per il resto dell’umanità. E se chi ci sta accanto si è già lasciato andare, abbiamo, ancor più, il dovere, che ci piaccia o no, di assumere un ruolo di guida. Noè pensò soltanto a salvare se stesso ed a curare la sua vigna e non trovò pace, in quando scoprì di aver fallito nella sua vita, perché era andato perduto il resto dell’umanità.
Quanto accaduto a Noè, o meglio le considerazioni fatte sulla sua vita, sono di grande attualità. Infatti l’uomo dei nostri giorni che la pandemia ha costretto all’isolamento, quando tutto sarà passato e potrà uscire dall’arca in cui si è rinchiuso per sfuggire al virus, dovrà cercare di combattere qualsiasi spinta individualistica e tendenza egocentrica, giacché come abbiamo visto non ci si salva da soli. Se si tralascia l’idea di voler una società più giusta ed inclusiva, nella quale nell’inerzia del prossimo occorre aver il coraggio di essere leader, si rischia di far spegnere la luce che a ciascuno di noi consente di vedere il futuro.