L’ultima opera del teologo e scrittore Elio Guerriero, pubblicata da Libreria Editrice Vaticana nei primi mesi dell’anno in corso, con il titolo Ebrei e Cristiani, raccoglie il rapporto epistolare tra il Papa emerito Benedetto XVI - che come tutti ricordiamo, in data 11 febbraio 2013, non senza suscitare clamori, ha rinunciato al soglio papale - e il Rabbino capo di Vienna Arie Folger - il quale ha diretto la commissione responsabile del primo e più importante documento, di parte ebraica, sul dialogo tra ebrei e cattolici, noto con il nome Tra Gerusalemme e Roma - ha l’indiscutibile merito di fare il punto su quello che è lo stato del dialogo tra uomini di buona volontà, per la ricerca e il mantenimento di un costruttivo colloquio tra le due religioni.
Le problematiche trattate nel libro, proposte all’attenzione dei lettori, sono tantissime, e una loro presentazione, in breve, sarebbe impossibile. Comunque, può sempre tentarsi un accenno ad alcuni argomenti di più agevole e immediata comprensione e la cui trattazione, forse, può fare a meno di un approfondimento teologico.
In primo luogo, non può non rilevarsi che è già prodigioso come entrambe le parti, oggi, siano giunte alla sincera determinazione di condurre un tentativo di rapportarsi lealmente, ponendosi sullo stesso piano. Volontà che, in primo luogo, ha richiesto da una parte l’accantonamento di pregiudizi e diffidenze nascenti da secoli di vessazioni e violenze di ogni genere, nonché, dall’altra, come si legge nelle pagine del volume in esame, la trasformazione di indifferenza e opposizione in collaborazione e benevolenza.
Resta chiara la comune provenienza delle due religioni da un’unica Bibbia “che si manifesta ora più che come documento della storia della fede di un determinato popolo, con tutti i suoi disordini ed errori, come voce di una sapienza proveniente da Dio e che concerneva tutti”. Questa innegabile, riconosciuta, comune matrice non poteva mantenere, ancor per più tempo, su posizioni di contrapposizione le due religioni, che si riconoscono nella comune discendenza da Abramo.
Questo nobile e non più differibile tentativo di colloquio, peraltro, va necessariamente a iscriversi in un momento storico che il rabbino Arie Folger stigmatizza con queste parole: “L’Occidente diventa sempre più laicista - mentre una minoranza crescente prende nuovamente sul serio la sua religione e i suoi doveri religiosi - e la maggioranza diventa ultimamente sempre più intollerante nei confronti della religione , dei credenti e delle pratiche religiose. Per questo possiamo e dobbiamo presentarci più spesso insieme sulla scena pubblica . Insieme possiamo essere molto più forti che isolati”.
Il dialogo, mosso dalla necessità di capirsi meglio, e che non è certamente animato dalla dissimulata volontà di convincersi vicendevolmente, è agevole comprendere non potrà portare mai a un’unità delle due incompatibili posizioni, che hanno in capo a ogni cosa il diritto di rivendicare la loro diversità. Ma l’irraggiungibilità di una posizione comune non vanifica, né impoverisce, la ricchezza del dialogo e del confronto, le cui asperità insormontabili, di cui è ricco, possono trovare luogo di sedimentazione solo nella preghiera.
Concetti che sono lapidariamente espressi nelle parole del Papa emerito: “A umana previsione questo dialogo non porterà mai all’unità delle due interpretazioni all’interno della storia corrente. Questa unità è riservata a Dio alla fine della storia”.