Anche nella più fugace tra le visite allacittà di Strasburgo è impossibile tralasciareun passaggio dall’imponente cattedrale di Notre Dame, uno tra i monumenti più importanti del gotico d’Europa, con i suoi centoquarantadue metri d’altezza del campanile, è un vero inno alla verticalità, magistralmente realizzata con contrafforti e archi rampanti, ornata da mille guglie e da un rispondente brulichio di statue, un vero merletto di marna rosata che cambia le sue sfumature sotto i raggi del sole.
Al transetto meridionale della cattedrale si accede da un portale, con doppio ingresso, riccamente decorato, ai lati del quale sono poste due statue che effigiano due giovani donne. A destra è posta una flessuosa fanciulla con gli occhi bendati, il capo chino, colta nell’atto di torcersi su se stessa, quasi a voler guardare indietro, che con una mano regge una lancia spezzata, mentre con l’altra, che le scende lungo il fianco, tiene delle tavole, forse quelle della Legge, che sembrano quasi sul punto di scivolarle dalle dita.
Questa figura femminile è la allegoria della Sinagoga, quindi dell’ebraismo, mentre l’altra a sinistra è la Chiesa trionfante,rappresentata come una donna, fiorente, incoronata, che manifesta una grazia più autorevole e lo fa reggendo con un mano un bastone sormontato da una croce, con stendardo e nell’altro un calice, forse in rappresentazione dell’ultima cena di Gesù.
Analoghe raffigurazioni scultore delle due fanciulle, sono effigiate nella cattedrale di Notre Dame a Parigi, in Germania a Friburgo in Brisgovia, nella Foresta Nera, nel duomo di Bamberga nel nord Baviera ed in altre chiese di città europee.
Questo gruppo marmoreo, scolpito nei primi tre decenni del milleduecento , rappresenta le due religioni consorelle ed era un chiaro messaggio rivolto ai devoti, una sorta di raffigurazione plastica del preteso avvicendarsi tra ebraismo e cristianesimo, con l’ovvia indicazione che il primo era ormai superato e soppiantato; una rappresentazione teologica spicciola ma molto immediata che in quel tempo inchiodava, inesorabilmente, le due realtà religiose in quei termini.
A questo punto continuando nella esemplificazione ci si potrebbe porre degli interrogativi: chi rese per secoli conflittuali i rapporti tra le due sorelle e per quali ragioni.
A questa domanda potremmo rispondere che furono in molti, e tra i primi, non può essere dimenticato il vescovo Giustino, nato attorno all’anno 100 d. C., con un suo scritto, che sino alla prima metà del secolo scorso, ha avuto una eccezionale ascendente su generazioni e generazioni di religiosi.
In realtà si tratta del primo e, certamente, per la sua epoca il più importante, testo di teologia cristiana. Intitolato “Dialogo con Trifone” raccoglie le esperienze dei dibattiti che Giustino aveva avuto con esponenti dell’ebraismo e nel quale espone il suo pensiero in merito al giudaismo.
Costui sosteneva che la Torah fosse priva di amore e libertà, carica di formalismi e precetti ed in conseguenza mancasse di insegnamenti di misericordia, perdono ed anche di senso di umana pietà, giungendo all’assunto che il comandamento dell’amore fosse un nuovo e sopravvenuto concetto introdotto dal cristianesimo, così come quello dell’eguaglianza tra gli uomini.
Questa narrazione, per un malinteso senso di coerenza a se stessa, poneva in ombra la circostanza assolutamente determinante che Gesù era un ebreo e nel suo predicare vi era un continuo riferimento e richiamo alla tradizione ebraica e alla Torah. Questa ingiusta dissertazione faceva dell’ebraismo un qualcosa di rozzo ed anche primitivo, quasi caricaturale, a cui il cristianesimo doveva dare il seguito per emendarlo e fornire un suo necessari compimento, cosi è stato predicato e creduto per secoli, con le conseguenze di indicibili discriminazioni e persecuzioni e di un alto prezzo di sangue che gli ebrei hanno pagato.
Bisognerà arrivare al secolo appena trascorso, con le leggi raziali, il genocidio della Shoah, ed al Concilio Vaticano Secondo, per veder sorgere nella Chiesa una visione nuova dell’ebraismo e, soprattutto porre le basi per una rivoluzione quasi copernicana della sua dottrina sull’argomento.
Oggi comincia a diventare normale riscontrare assunzioni di responsabilità e leggere in scritti, come quelli del vescovo di Frosinone Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione dei Vescovi Italiani per l’Ecumenismo ed il Dialogo, che “l’insegnamento teologico ed esegetico ha contribuito allo sviluppo dell’antisemitismo del secolo scorso, con le conseguenze ben note della Shoah”, oppure di Papa Francesco che afferma: “è di vitale importanza per i cristiani promuovere la conoscenza della tradizione ebraica per riuscire a comprendere più autenticamente se stessi”.
Sapranno gli uomini di questo secolo affrancarsi dall'immagine delle due sorelle che oltre ad essere scolpita nella pietra lo è, ancor oggi, nel cuore di molti.
Questo potrà dirlo solo la storia.
Cultura e civiltà ebraica
Le due sorelle
Giuseppe Sciacca