Lexikòn

ALHAMBRA 31 marzo 1492

Il cambiamento del nome

2020-06-12 17:48

Giuseppe Sciacca

Ebraismo,

Il cambiamento del nome

Per l’uomo antico l’essenza della persona e il nome si identificano. Il nome viene considerato come una duplicazione del soggetto chiamato, oltreché u

Per l’uomo antico l’essenza della persona e il nome si identificano. Il nome viene considerato come una duplicazione del soggetto chiamato, oltreché una via per entrare in rapporto diretto e immediato con chi lo chiama. A quest’ultima circostanza, sempre gli antichi attribuivano la resistenza delle divinità a palesare il proprio nome. Sembrerebbe che proprio a causa di ciò alla domanda di Mosè, che voleva conoscere il nome del Signore, Dio rispose in modo generico ed elusivo (Esodo 3,14). Così pure la Presenza della notte, che lotta con Giacobbe, resistette alla richiesta di quest’ultimo, che volle sapere chi fosse e quale fosse il suo nome (Genesi 32,30). Adamo diede i nomi a tutti gli animali e agli oggetti (Genesi 2,19) e questa identificazione valse pure ad attribuire a ciascuna specie le caratteristiche distintive proprie.
Sempre nell’antichità, veniva creduto che se il nome era così determinante per l’identificazione della persona a cui era stato attribuito, il suo cambiamento avrebbe comportato il mutamento del destino di chi lo portava. In conseguenza, veniva ritenuto che la variazione del nome di un uomo potesse essere proficuamente utilizzato per pratiche magiche e taumaturgiche.
Il rapporto tra il nome e la persona era ritenuto tanto intimo che gli arabi non erano soliti chiamare le proprie donne con il loro nome, in pubblico e alla presenza di estranei, giacché l’utilizzo del nome proprio era riservato alle situazioni di intimità. Il nome con cui ci si faceva chiamare diventava, quindi, la veste con cui ci si manifestava al pubblico. Sempre tra gli arabi era in uso farsi chiamare, nell’ambito della comunità di appartenenza, con l’espressione padre di...; e quando un uomo avesse avuto più figli, gli risultava assai sgradito e anche offensivo se qualcuno lo avesse chiamato padre di un figlio poco apprezzato o ancor peggio poco rispettabile.
Anche nella Bibbia non sono rari i casi di cambiamento di nome e di solito da tale mutamento viene fatto derivare un accrescimento delle prerogative della persona, quasi un incremento del suo potere. Abramo, primo patriarca, diventò Abrahamo, il cui significato, derivato dall’arabo, è padre di moltitudine. Sara diventò Sarah e il mutamento del nome segnò la fine della sua sterilità con la nascita di un figlio, al quale sarebbe poi stato imposto il nome di Isacco, uno dei grandi patriarchi. Giacobbe lottò per un’intera notte, con l’Entità misteriosa che non voleva rivelargli il suo nome, subì anche lui il cambiamento del nome e diventò Israele, che significa uomo che lotta con Dio.
Il fenomeno sopravvive ancora oggi, solo presso alcuni nuclei ebraici, con la denominazione “Shinnui Hashem” ed è comune anche ad altre religioni, basti pensare che nel cristianesimo l’ascesa al soglio di Pietro, comporta per il nuovo Papa l’assunzione di un diverso nome, rispetto a quello avuto in precedenza.
Alla base del meccanismo del cambiamento non mancano i risvolti di natura psicologica, peraltro rimasti attuali, si pensi che, ancor oggi, i giovani e in specie gli adolescenti, modificano il proprio nome per presentarsi al gruppo o per proporsi ai nuovi amici, quasi a trarre da questa modifica una nuova vitalità per imporsi e farsi accogliere. Ricordo di un tenero amore nato sui banchi di scuola, in occasione del quale fu il ragazzo a mutare il nome della sua amata, che si chiamava Lucia, in Ermione, in vero nel massimo rispetto dei programmi ministeriali e delle lezioni su D’Annunzio, in corso. Nome che la fanciulla accettò senza indugio e da quel giorno, per la classe, fu senza incertezze e sempre, solo Ermione.

Giuseppe Sciacca