Ormai il sostantivo villeggiatura, inteso come permanenza non breve al mare, ai monti o in campagna, in cui insieme alla famiglia ci si trasferiva a scopo di riposo e vacanza, è diventato desueto. Ha lasciato posto alle ferie, che forse resistono soltanto perchè sono un diritto garantito dalla Carta costituzionale, e per questo soltanto hanno una maggiore aspettativa di sopravvivenza, nella nostra caotica attualità dell’efficienza e della fretta, anche se, spesso, vengono malamente godute in modo frammentato e qualche volta anche convulso spinti dalla brama del divertimento a tutti i costi. A chi ha la saggezza di sapersi ritagliare uno spazio per il riposo in estate, comunque lo si voglia denominare, mi sento di consigliare la lettura di almeno di una delle ultime due opere di un grande scrittore polacco, Israel Joshua Singer. Vissuto a cavallo tra l’800 ed il 900 è stato autore in lingua yiddish ed inglese, certamente degno di avere un posto di tutto rispetto tra gli autori che si definiscono classici della sua epoca, in quanto ha avuto il merito di saper raccontare quello che i suoi contemporanei non sapevano intuire o preferivano sottacere . Oggi suggeriamo per una lettura, anche balneare, da cui tanto però si potrebbe ricavare in conoscenza. Il primo è “ I fratelli Ashkenazi” Ed. Bollati Boringhieri , che con la sua mole di oltre 700 pagine, che in verità si leggono rapidamente , potrebbero intimidire un lettore non troppo volenteroso, fiaccato dalla canicola estiva. Ed il secondo in pagine di dimensioni più ridotte “La famiglia Karnowski”, ma per questo non meno interessante e significativo del precedente. Pubblicato nel 1943 , ultima opera dello scrittore, narra una storia di mancata integrazione di una famiglia ebrea , immigrata dalla Polonia a Berlino, alla ricerca di una vita migliore, città in quegli anni centro di grandi interessi economici e culturali. Viene narrato da Singer, con dovizia di particolari, nel succedersi di tre generazioni, la costante del conflitto tra padri e figli, in quella che, a prima vista, sembra una storia patriarcale, a cui lo spazio lasciato alle donne non è tanto, ma di cui egualmente si avverte il peso. In questo scenario fa ingresso da protagonista, la figura importante di una giovane donna medico, la graziosa Elsa, che per il suo temperamento e per la sua sensibilità sociale, è stata definita l’unico vero uomo del racconto. Dalla vita di questa figura di spicco giunge il monito, che non è del tutto estraneo anche al vivere in anni molto più recenti di quelli in cui ha vissuto Elsa, che, molto spesso, per una donna un impegno nel pubblico ed in particolare in politica , si paga con tante rinunce agli affetti ed anche all’amore.
Ma tornando ai protagonisti maschili: il primo è il capostipite Davide, ebreo credente e strettamente osservante e praticante, uomo di studi, che trasborda, con successo la propria famiglia, dal ghetto polacco in cui vivevano, nella capitale della Germania, terra che desiderava diventasse la sua nuova fortunata patria. Il figlio George, medico affermato, entrerà in conflitto con il padre, quando contro la volontà di costui sposerà una donna tedesca e cattolica. Già alle soglie del secondo conflitto mondiale, quando in Germania cominciava a serpeggiare l’antisemitismo più traculento ed il nazismo si accingeva a diventare una realtà dominante, si troveranno in conflitto sarà George ed il padre Davide, a causa del diverso modo di vedere la vita. Questa volta il figlio insorgerà contro l’ebraismo, la tradizione e la stessa identità della sua famiglia , lasciandosi andare ad una vita di eccessi e sregolatezze, e non perderà occasione di proiettare sul padre tutti i suoi mali esistenziali e tutto il suo risentimento. In questo turbinio di risentimenti giungerà sino al paradosso di desiderare di identificarsi con proprio il carnefice e cercare una impossibile alleanza con lui . Il romanzo non è solo una grande saga familiare , molto avvincente, ma rappresenta uno strumento per l’acquisizione di una approfondita conoscenza di un mondo ebraico dei secoli scorsi, che oggi non esiste più, ma che non è passato senza lasciare un segno indelebile, nella storia della vecchia Europa, madre di civiltà e di tanti mali.
Giuseppe Sciacca.